Scuola, gli insegnanti tra i più esposti a stress e burnout

di Gianluca Molinaro 1

L’interesse della psicologia per lo studio dello stress lavoro correlato degli insegnanti è cresciuto dalla seconda metà degli anni Ottanta, sia all’estero che in Italia. Dalla comparazione dei dati relativi all’incidenza dello stress e del burnout nella professione insegnante con  quelli relativi alle altre professioni è emerso come i primi riportano uno dei tassi più alti, se non il più alto, di stress occupazionale (Kyriacou, 1987).

La relazione educativa, fondata sul rapporto con l’allievo e lo scambio con gli altri (per esempio, famiglie, colleghi, dirigente scolastico) rientra di diritto nell’ambito delle helping profession. Essa implica l’instaurazione di una serie di interazioni significative, in termini di tempo e importanza, con gli allievi e le loro famiglie, caratterizzate dall’indispensabilità dell’apporto personale alla situazione educativa (Pedrabissi e Santinello, 1988). Come evidenziano Pinelli et al. (1999), all’insegnante è richiesto oggi di trasmettere non solo cultura, ma anche di educare l’allievo e in tal modo promuovere la crescita personale di questi. L’espletamento di questo compito implica un forte coinvolgimento emotivo, dal quale l’insegnante non può esimersi. L’interazione continua con i problemi dell’allievo può portare a un vero e proprio logoramento emotivo. Nonostante, quindi, la presenza di diversi fattori stressogeni presenti in questa professione, il “burnout a scuola” è ancora una realtà giovane nella realtà italiana. Secondo Rossati e Magro (1999) ciò dipende dalla credenza, peraltro diffusa, che

“gli insegnanti abbiano una vita comoda, godano di orari di lavoro più brevi e di ferie più lunghe del resto dei lavoratori e che, se soffrono di disturbi legati allo stress, sovente si pensa che ciò sia dovuto unicamente alla loro inadeguatezza personale e professionale”.

I risultati sovrapponibili, sino a oggi ottenuti in diversi paesi sugli insegnanti e in altre helping professions, ci portano comunque a concludere che il burnout, a differenza dello stress che riguarda la sfera individuale, è un fenomeno fondamentalmente psicosociale (Rossati, 1999) di portata internazionale, per il quale sono stati identificati fattori di rischio personali, relazionali e ambientali sui quali intervenire. Da una rivisitazione della letteratura (Nagy, 1992) sono stati individuati oramai almeno 40 fattori che determinano il burnout. Gli stessi sono riconducibili a tre categorie principali (Marck, 1990):

  • fattori sociali e personali del soggetto: comprendono le caratteristiche individuali (personalità, sesso, età, tolleranza, aspettative professionali, suscettibilità, stile cognitivo, background culturale, razza, religione, tempra, tenacia, arrendevolezza, resistenza, livello socio-economico, stile di vita, situazione familiare, eventi luttuosi, etc.)
  • fattori relazionali, relativi ai rapporti interpersonali con studenti e loro familiari, direzione scolastica, competitività coi colleghi, affollamento delle classi
  • fattori organizzativi (o professionali) : riguardano l’organizzazione scolastica e le condizioni di lavoro (riforme scolastiche, precariato, ubicazione della scuola in zona urbana o rurale, carico di lavoro, risorse didattiche, attrezzature, programma da svolgere, organizzazione degli orari di lezione, chiarezza dei regolamenti di funzionamento, flussi di comunicazione interna, frequenza delle riunioni, percorso di carriera, reporting/feedback inefficace etc.).

Il burnout riconosce altresì una quarta categoria di cause che rientra nei cosiddetti fattori socio-culturali (Cherniss, 1980). Tra questi basti annoverare l’avvento dell’era informatica e di una società multiculturale e multietnica, la delega dei genitori all’educazione dei figli, l’inserimento dei portatori di handicap nelle classi, la maggior intransigenza dell’utenza, l’introduzione della valutazione dei docenti da parte di genitori e studenti, la svalutazione sociale del lavoro in se stesso a favore del successo e del guadagno economico (notoriamente bassi per gli insegnanti), l’abolizione delle cosiddette baby-pensioni.

Foto Credits:  LizMarie_AK on Flickr

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