Fobia di uccidere e psicoterapia breve strategica, intervista al professor Giorgio Nardone

di Redazione 2

Cari amici di Iovalgo, proseguiamo il nostro speciale sulla psicoterapia breve strategica in compagnia dell’ideatore del metodo rapido per risolvere fobie e disagio psicologico, lo psicoterapeuta Giorgio Nardone.

Dopo aver divulgato storia e metodo del trattamento, continuiamo ad illustrare casi di applicazioni pratiche a paure ed ossessioni più o meno comuni. Dopo cardiofobia, dismorfofobia e disturbo ossessivo compulsivo, vediamo come è stato risolto il caso di una donna alle prese con la fobia di uccidere il marito.

Si presentò al Centro di Terapia Strategica di Arezzo una giovane donna disperata perché da qualche mese ossessionata dalla paura di essere colta da un raptus di follia che potesse condurla ad uccidere il suo amato marito. Ella riferiva che da quando questa idea la accompagnava come un’ombra sinistra la sua vita era sconvolta e segnata da frequenti attacchi di panico, cosicché aveva abbandonato molte delle sue usuali attività quotidiane.

Nell’indagine diagnostica emersero 3 principali tentate soluzioni: la prima era il tentativo di scacciare l’idea con l’effetto però di incremento delle immagini di cruenti aggressioni; la seconda era quella di parlarne con gli altri, incluso il marito, nella vana speranza che le rassicurazioni avessero potuto aiutarla; ed infine quella farmacologica a cui era giunta ultimamente come conseguenza dell’inefficacia delle prime due.

Come primo intervento, dopo aver “rassicurato” la paziente affermando che il suo disturbo non era affatto “originale” ma apparteneva ad una categoria sempre più frequente di problemi da panico di perdita di controllo delle proprie facoltà mentali, è stata utilizzata la tecnica della ristrutturazione della paura dell’aiuto, ovvero le è stato mostrato come il parlare continuamente della sua ossessione rappresenti uno dei modi per alimentarla in quanto, contrariamente al senso popolare, più si discute di una paura più si rende vera. Di conseguenza le fu suggerito di interrompere qualunque conversazione in merito al suo problema con chiunque, compreso il marito. Dopodiché le fu prescritto l’usuale diario di bordo per monitorare esattamente i suoi episodi critici e le fu indicato di porsi giornalmente questa domanda “Cosa farei se volessi incrementare, invece che ridurre, il mio problema? Cosa dovrei pensare per renderlo più acuto?” e di portare tutte le risposte alla seduta successiva poiché “per raddrizzare una cosa prima si deve imparare a storcerla di più”.

Alla seduta successiva la paziente giunse con un diario di bordo che sembrava un enciclopedia, tanto era voluminoso e tanto numerosi erano stati gli episodi di panico riportati. Tuttavia riferì che annotare i momenti critici seguendo lo schema prestabilito l’aveva aiutata a tenerli a bada; aveva trascorso, comunque, più tempo a scrivere che a fare qualunque altra cosa. Inoltre in merito alla strana domanda che si era posta tutte le mattine, riferì che non era riuscita a trovare alcuna risposta soddisfacente, in quanto ogni ipotesi finiva per scontrarsi con il suo immediato rifiuto di ciò che le veniva in mente.

Le fu fatto notare come tale effetto fosse il contrario di ciò che le accadeva ogniqualvolta si negava di pensare alla perdita di controllo. Questa considerazione la colse come una scoperta imprevista, che apriva nuove prospettive. “Quindi per scacciare le mie ossessioni dovrei cercare di averne ancora di più?” chiese. Le fu risposto: “Proprio così, ma prima devi imparare a usare bene questo trucco, e per questo è necessaria una sorta di addestramento. I fantasmi che noi evochiamo, se li tocchiamo, svaniscono, se scappiamo ci inseguono e ci spaventano a morte. Ma, come ripeto, per imparare ci vuole un po’ di pratica particolare”.

Fu così che, dopo aver ribadito insieme alla giovane donna che in realtà era vittima delle sue stesse convinzioni, le fu prescritto il rituale giornaliero della “mezz’ora di peggiori fantasie” come procedura specifica per imparare ciò che lei stessa aveva sentito funzionare. Venne mantenuta anche la prescrizione del diario di bordo che l’aveva aiutata a non cadere nell’attacco di panico.

Alla terza seduta la paziente raccontò che se all’inizio aveva avuto un po’ di timore ad applicare il rituale della peggiore fantasia, praticandolo si era resa conto che, mentre immaginava se stessa afferrare il coltello o mettere il veleno nel cibo, invece di terrorizzarsi finiva per sorridere come se stesse guardando un ridicolo film. Inoltre dopo qualche minuto, più cercava di vedere le immagini e meno queste venivano, più si sforzava di elaborare fantasie terribili, più le venivano alla mente immagini di scene felici e divertenti.

Infine mostrò un diario di bordo decisamente ridotto nel numero di episodi critici riportati. Ella dichiarò che la situazione le appariva molto migliorata anche se si sentiva ancora dentro il problema. Come di consueto, la terapia procedette passando alla fase delle peggiori fantasie distribuite in 5 appuntamenti giornalieri ad orari fissi, senza isolarsi ma continuando a svolgere le attività consuete.

Poiché due settimane dopo, la giovane donna riportò ulteriori miglioramenti tanto da non aver mai utilizzato il diario di bordo e da essere fiduciosa nelle proprie capacità di poter di fronteggiare la paura attraverso la tecnica della peggiore fantasia, le fu prescritto, come fase finale della terapia, di usare tale tecnica solo nel caso in cui la paura si fosse presentata: nel momento in cui avesse sentito le sensazioni del panico avrebbe dovuto cercare di aumentarle per ridurle. Alla quinta seduta dichiarò di non aver avuto alcun episodio di panico, solo qualche immagine era affiorata alla mente ma prontamente scacciata con lo sforzo volontario di alimentarla. Tutto l’incontro fu così speso a mettere in risalto le sue capacità e risorse personali e si concluse con la richiesta di dedicare per un mese qualche minuto giornaliero per porsi questa domanda “Se volessi rovinare tutto quello che abbiamo fatto insieme, come potrei riuscirci? Se volessi tornare esattamente quella di quando ci siamo conosciuti, cosa dovrei fare o non fare?”.

Dopo un mese tornò riferendo di essersi sentita come se il “periodaccio” non fosse mai esistito e di aver ripreso a pieno ritmo tutte le sue attività. Riguardo alla domanda, disse che pensandoci, si era resa conto che forse sarebbe bastato ricominciare a cavalcare i dubbi cercando di scioglierli razionalmente, ovvero cercando la certezza assoluta del controllo di sé, per incappare di nuovo in qualche trappola mentale. E così una come lei che aveva incentrato tutta la propria vita su indiscutibili certezze era giunta a far propria la convinzione per cui “l’unica forma di certezza che si può avere è l’essere sicuri nella propria insicurezza”.

Leggi tutti i nostri articoli dello speciale psicoterapia breve strategica.

Commenti (2)

  1. Salve dottore.È da tre mesi che in seguito ad una brutta notizia data in TV di un ragazzo che ha ucciso i suoi genitori ho paura che possa fare anche io qualcosa simile !! Ho troppo paura perché sembra io voglio a davvero farlo .. la cosa che mi preoccupa è che quei pensieri si attaccano a dei “sbagli” (X modo di dire) che mia madre ha fatto con me quando ero piccola ovvero: in un momento di bisogno di mia sorella lei le è stata più vicina e per non farla stare giù la portava a fare più spesso rispetto a come portava me a fare shopping! Sebbene a me oggi non importa più e mi sembra ridicolo anche che questa cosa mi sia ritornata in mente , io da piccola ci stavo davvero male , e ho paura che provi ad oggi rancore anche se io non vorrei provarne !! Perché mi viene in mente quando io piangevo perché rimanevo male e magari volevo anche io quella cosa che lei aveva comprato a mia sorella e subito dopo arrivano le ossessioni aggressive!!! Io non voglio far del male a mia madre ma queste ossessioni mi mandano in confusione

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