Walter Benjamin e i versi per l’amico che si tolse la vita

di Redazione 0

L’incontro, fin dal primo momento, fu estremamente importante per entrambi, di quelli che segnano per sempre la vita, le sorti. Si conobbero a Friburgo nel 1913, fu immediatamente forte amicizia, non priva di contrasti. Cristoph Heinle (1894), poeta mai pubblicato in vita, si uccide l’8 agosto 1914 insieme alla fidanzata, entrambi ebrei, allo scoppio della prima guerra mondiale.

Il dolore e un medesimo destino amaro, non risparmiarono però Walter Benjamin, anch’egli filosofo e saggista, ebreo e perseguitato dal nazismo. Personalità complessa, sensibilissima, si suicida tra il 26 e il 27 settembre del 1940, al confine franco-spagnolo.

Fu la struggente e improvvisa morte dell’amico ad ispirare i versi dolenti che gli dedicò e altri raccolti in un volume dal titolo Sonetti e poesie sparse (curato da Rolf  Tiedmann, Einaudi, pp. 228, euro 15).

Sette traduttori si sono impegnati nella traduzione nella nostra lingua. Un consiglio atipico ma che sentiamo comunque di darvi, è quello di provare a “leggere” il testo pur se ignorate il tedesco infatti, potrete accertarvi della bellezza del testo originale, la melodiosa sonorità delle rime e che è impossibile riportare in italiano.

Nonostante il sonetto presenti una forma rigida ed esalti le zone oscure, gli “anfratti” di una soffernza che non tarda a manifestarsi, si caratterizza anche per una grande libertà di espressione (talora manifestando delle reminiscenze surrealiste).

E con lui viviamo lo scorrere incessante e violento e disperato degli eventi, l’incontro di persone (Heinle e due donne soprattutto), situazioni, pensieri, amori, sofferenze, l’ossessiva presenza dell’amatissimo colore rosso: rose, labbra, fiamme, fuoco, braci e per una sorta di “affinità” di senso, (queste sono): fiammeggianti, arde, ardevano, ardente, bruciavano, bruciante.

Molto probabilmente ciò che simboleggia più significativamente il ricorrente colore è quel cuore infelice a cui la passione intellettuale del poeta/filosofo si appella languidamente:

Risuoni tu, mio cuore, in giorni luminosi/e più non può il silenzio accompagnarti

 

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