drammaterapia, raccontarsi per “guarire”

di Redazione 0

La drammaterapia, a differenza di tutte le altre forme di teatro, non prevede un copione da seguire per mettere in scena uno spettacolo. L’attenzione è focalizzata sul processo e sull’azione drammatica. Le storie possono essere raccontate, rappresentate o costruite attraverso l’improvvisazione. La drammaterapia, infatti, è un percorso di esplorazione e di recupero delle potenzialità e della creatività presenti in ciascuno di noi.

Dentro la cornice della realtà drammatica, che permette di riattraversare in modo creativo la propria condizione, allontanandosi da rigidi schemi di comportamento per scoprire nuovi modi di essere, si può morire o uccidere, sposarsi o partorire, ma tutto avviene “per finta”, nonostante i sentimenti, le emozioni e i pensieri assomiglino a quelli della vita reale.

Nella finzione è possibile scoprire dei modi entrare in relazione con gli altri e con se stessi mai sperimentati prima, conoscere nuovi e diversi punti di vista sul mondo e sulle cose, esprimere emozioni profonde. La drammaterapia, infatti, viene utilizzata nel campo dei servizi alla persona in ambito clinico, riabilitativo, educativo e preventivo. Protagonista del percorso drammatico è il gioco, solo in questo modo si riesce ad ad accedere ad un processo creativo, che viene condiviso da tutto il gruppo. Ed è proprio quest’ultimo, ad essere una risorsa indispensabile. l’energia potenziale di ciascun individuo si incontra con quella degli altri per diventare una creazione a più mani.

L’incontro di drammaterapia viene suddiviso in 3 fasi. Quella iniziale è destinata alla creazione del clima di gruppo (fiducia, intimità, collaborazione) e all’attivazione delle risorse espressive dei partecipanti attraverso esercizi di attivazione fisica, giochi di conoscenza, improvvisazione corporea, giochi di fiducia, improvvisazione immaginativa e narrativa. La seconda fase è quella della creazione delle scene e dalla drammaturgia attraverso giochi di ruolo. L’ultima fase di condivisione segna l’uscita dai ruoli e dalla finzione drammatica per esaminare il percorso alla luce dei vissuti soggettivi. Lo scambio verbale non è sempre necessario, può bastare anche un gesto, un segno, ma anche il silenzio.

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