Gli anziani e la solitudine

di Redazione 1

Purtroppo la vita degli anziani, spesso si riduce quando non si limita del tutto, a poche, minime attività prive di contenuto sociale e la cui validità e importanza non trova spesso quasi mai riscontro dalla fascia più ampia dei giovani e degli adulti socialmente attivi. Questa concessione all’ “ozio” che la società fa alle persone in età e oramai “fuori ruolo”, del riposo assoluto o, come spesso si dice del meritato “tempo libero”, dopo anni di lavoro e fatica, in realtà spesso è la spia di una silenziosa e mal celata pietosa ipocrisia, non buona ma falsamente indulgente e utile a liberare dal senso di colpa che attanaglia la coscienza collettiva per l’espulsione coatta dell’individuo dal campo del lavoro e, quindi, dalla vita attiva.

Di fatto tutta questa libertà da poter impiegare, si traduce, sempre più spesso in un tempo di forzata inattività, causa di emarginazione sociale e di solitudine. Ciò che accomuna chi si trova nella condizione senile è, infatti, proprio la solitudine che inevitabilmente fa da corollario a tutta una serie di eventi che possono essere la vedovanza, come la fine dell’attività lavorativa, la mancanza di autonomia o la lontananza dei figli che può essere geografica ma anche più semplicemente affettiva.

La solitudine del vecchio non può però considerarsi la condizione o lo stato di chi vive da solo o appartato. Questa situazione è dovuta ad isolamento, condizione di chi, decide spontaneamente o è costretto da ragioni esterne, a vivere isolato, appartato dagli altri, ma non per questo escluso dal consorzio sociale e quindi privo di affetti o amicizie.

La solitudine è proprio di chi si sente solo e questo accade a chi non sceglie di vivere isolato ed appartato, bensì tale condizione è imposta dagli organismi sociali, economici e culturali del proprio complesso antropologico.

E questo è il motivo per cui possono soffrire di solitudine, sentirsi soli, anche i vecchi che, pur vivendo in famiglia o in qualche comunità di tipo assistenziale, avvertono, quando non lo sono davvero, rifiutati dall’ambiente o non più approvati dalla collettività. Questa purtroppo è una condizione che non di rado si verifica anche in famiglia e non soltanto, come siamo abituati a credere, negli ospizi, nelle case di riposo o nelle varie strutture protette.

La solitudine, infatti, colpisce anche gli anziani che, pur inseriti in nuclei numerosi, vivono di fatto l’isolamento affettivo e l’emarginazione quando la convivenza con i congiunti crea problemi e frustrazioni reciproche. Nei vecchi c’è, infatti, un grande e continuo bisogno di affetto ed una pressante esigenza di comunicazione che non trovano sempre corrispondenza nella famiglia. Purtroppo il più delle volte succede che figli e nipoti non siano in grado di dare una risposta esaustiva ai bisogni esistenziali del loro congiunto, dandogli la tristissima sensazione di estraneità, quasi come se fosse un intruso nel contesto affettivo e familiare.

Probabilmente una risposta ai problemi dell’anziano non può cercarsi soltanto nell’organismo familiare o nella società odierna, che non presenta più le caratteristiche e i presupposti affinché il vecchio possa ancora esprimere la propria  personalità e ritrovarvi esigenze di vita, di relazioni interpersonali, di partecipazione.

È indispensabile formulare un nuovo e capillare piano geragogico, una “pedagogia della terza età” che si proponga di formare la società in generale, oltre che l’individuo e la famiglia, al fine di far perire tutti quei pregiudizi che hanno relegato l’anziano nel pantano dell’incomprensione e della solitudine.

Commenti (1)

  1. Tutti buon i propositi che restano tali se l’anziano non trova qualche risorsa personale.

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