Il buon samaritano

di Redazione 0

A volte le cronache ci narrano spiacevoli episodi in cui persone in difficoltà (ad esempio vittime di violenza o di malori) nonostante si trovino il luoghi pubblici e frequentati, non ricevono aiuto da chi li circonda. Molto spesso gli individui riescono ad essere altruisti con familiari, amici, colleghi, ma faticano a dimostrare la stessa generosità con degli sconosciuti. Perché succede questo?

In queste situazioni, può capitare di essere bloccati dalla paura: temiamo che, prestando il nostro soccorso a qualcuno, possa succederci qualcosa di spiacevole.  Altre volte, vorremmo intervenire, ma ci manca il coraggio. Cerchiamo di dividere la responsabilità con altre persone: se non interviene nessuno, perché dovrei farlo proprio io?

Sono tutte barriere che la nostra mente crea, ma che viviamo con profondo disagio perché rimane un forte senso di colpa dentro di noi.

La capacità di mettere in secondo piano i propri bisogni rispetto a quelli di un altro essere umano col quale non vi sono rapporti di affettivi o di conoscenza può dipendere da fattori oggettivi (ad esempio, il tempo che abbiamo a disposizione in quel momento) ma anche soggettivi.

Nel 1973 due psicologi dell’Università di Princeton realizzarono un test in proposito. Invitarono alcuni studenti di teologia a fare un discorso: a metà di loro fu assegnato come tema la parabola del Buon Samaritano, all’altra metà una presentazione sul proprio curriculum studiorum. Ogni gruppo fu ulteriormente suddiviso in 2 sottogruppi: prima della presentazione a ciascuno sottogruppo fu spiegato di aver accumulato molto ritardo, poco in ritardo o di avere molto tempo a disposizione. Sul percorso per raggiungere l’aula della presentazione, un attore steso a terra fingeva di essere in difficoltà. Risultato: si fermava il 63% di chi non era in ritardo, il 45% di chi era un poco in ritardo e solo il 10% di coloro che avevano poco tempo.

La nostra situazione, in questo caso il tempo a disposizione, è determinante, in questo caso, ma l’altruismo dipende anche, seppure in modo meno pregnante, dall’argomento sul quale stavano lavorando: infatti si fermava solo il 29% di coloro che dovevano parlare di se stessi contro il % di chi aveva lavorato sul tema del Buon Samaritano.

Un secondo esperimento è stato condotto da Roy Baumeister all’Università della Florida. A un gruppo di studenti sono state fatte leggere frasi del tipo “Siamo solo computer biologici disegnati dall’evoluzione e costruiti geneticamente”, mentre ad un altro venivano lette frasi sulla capacità umana di agire secondo coscienza. Nei test successivi, chi aveva letto materiale frasi dedicate all’altruismo era più propenso a comportarsi in modo generoso.

Dunque quando c’è un contesto favorevole, siamo più propensi ad aiutare gli altri. Tuttavia è necessario interrogarci profondamente sulle barriere che ci impediscono di aiutare gli altri in situazioni difficili, per poter migliorare veramente.

Un concetto sottolineato anche dallo scienziato Richard Dawkins:

Bisogna cercare di insegnare generosità e altruismo, perché siamo nati egoisti. Bisogna cercare di capire gli scopi dei nostri geni egoisti, per poter almeno avere la possibilità di alterare i loro disegni, qualcosa a cui nessun’altra specie ha mai aspirato.

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