Depressione, un aiuto dalla corrente elettrica?

di Redazione 0

Sembra che la stimolazione del cervello con una debole corrente sia un sistema sicuro ed efficace contro la depressione, e una valida alternativa agli psicofarmaci, che non sono esenti da effetti collaterali, in alcuni casi anche gravi. A sostenerlo, è un team di ricercatori australiani dell’University of New South Wales (UNSW) e del Black Dog Institute.

Gli esperti hanno condotto uno dei più grandi e importanti studi sugli effetti della Stimolazione Transcranica in Corrente Diretta (tDCS) nelle persone affette da depressione e disturbi mentali. Questa tecnica funziona facendo passare una debole corrente elettrica depolarizzante nella parte anteriore del cervello, per mezzo di elettrodi posti sul cuoio capelluto.

Dai risultati dello studio, pubblicati sul British Journal of Psychiatry (BJP), è emerso come nelle persone trattate con la tDCS vi fosse un netto miglioramento dei sintomi depressivi. I ricercatori hanno coinvolto 64 partecipanti, poi suddivisi a caso in 2 gruppi atti, che hanno ricevuto rispettivamente un trattamento reale di tDCS o un trattamento finto per 20 minuti al giorno, per un totale di 6 settimane. Tutti i volontari erano persone affette da depressione che non avevano risposto alle terapie tradizionali o farmacologiche.

Come ha spiegato la professoressa Colleen Loo, che ha coordinato lo studio:

La maggior parte delle persone che hanno partecipato a questo studio avevano provato almeno altri due trattamenti antidepressivi senza ottenere alcunché. Quindi i risultati sono molto più significativi di quanto possa apparire inizialmente. Non abbiamo avuto a che fare con persone facili da trattare.

Durante il trattamento con la tDCS i pazienti sono coscienti e vigili, e secondo quanto emerso dallo studio, più ci si sottopone al trattamento più si ottengono risultati, anche duraturi nel tempo. Per esempio, al termine delle 6 settimane di studio, i benefici erano migliori che non a 3 settimane. Inoltre, è possibile partecipare a sessioni di mantenimento settimanali, e in quest’utlimo caso si sono accertate assenze di ricadute nei 3 mesi successivi per l’85% dei pazienti trattati.

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