
La tristezza fa pensare immediatamente alle stagioni. Tra tutte, assomiglia all’autunno, perché il tono dell’umore va in caduta libera, come il sole e le foglie. Ma è un’emozione decisiva perché riesce ad azzerare la nostra identità e a portare un nuovo modo di essere, se la si vive al meglio, se la si accoglie. E proprio qui sta il grande dilemma contemporaneo, perché noi ci ostinamo a combatterla a suon di domande inutili. O, addirittura, ad annullarla a colpi di estenuanti bombardamenti di psicofarmaci, che hanno un solo risultato: aprire la strada alla depressione.
Invece, dobbiamo riuscire a comprendere che l’anima è la parte più autentica e saggia di noi. Non sbaglia mai. E se fa arrivare dentro noi stessi la tristezza è per farci capire che stiamo facendo un percorso sbagliato, che il nostro essere si sta snaturando e che esistono delle alternative salvifiche ai modelli di oggi. Per questo dovremmo lasciare che il dolore si espanda. Perché, infondo, è come un parto, come la rottura delle acque che è presagio di nuova vita. Come una porta che si spalanca all’arrivo di un’energia creatrice, che ci rigenera. Come una benedizione che ci allontana dagli errori e ci regala un’altra possibilità per essere veramente noi stessi, nel mondo più vero.